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Antonio Crisci, L’UOMO DI GHIACCIO II° edizione. Recensione di Raffaele Piazza

Nel corso della Storia dell’umanità la terribile realtà delle guerre, con tutto il male e la morte che hanno causato, costituisce una lezione incontrovertibile da tenere in considerazione soprattutto nella nostra contemporaneità.

Guerre che nei secoli prima e dopo Cristo hanno scosso le coscienze dei sopravvissuti per i tantissimi morti e feriti spesso anche innocenti, come i civili tra i quali bambini, oltre che per le distruzioni di paesi e città e per i danni ambientali.

La lezione suddetta si dovrebbe imprimere nelle menti dei capi delle nazioni del pianeta terra che dovrebbero assolutamente cercare l’antidoto di una pace universale per il mondo per evitare quella che sarebbe una vera Apocalisse.

Ma ciò costituisce un’utopia e lo dimostra chiaramente una guerra tremenda come quella che si sta combattendo in questi mesi del terzo Millennio in Ucraina, guerra che vista la portata degli arsenali nucleari e chimici delle superpotenze potrebbe essere anche l’ultima guerra con la distruzione totale della vita sulla terra in un folle quanto tragico Olocausto a livello globale, totale e definitivo nel tristissimo prevalere dell’irrazionalità e della violenza.

Scrive Michele Miano nell’introduzione al volume, preceduta da una premessa dell’autore, di non sentirsi all’altezza nel delineare alcuni aspetti delle vicende narrate in questo libro costituito da brevi capitoli, opera che ha per argomento, l’immane tragedia del corpo di spedizione italiano dell’Armir in Russia durante il secondo conflitto mondiale.

Perché il titolo L’uomo di ghiaccio? Credo che questa definizione sia stata coniata da Crisci in riferimento al clima glaciale, alla neve con la quale dovettero fare i conti i soldati italiani in Russia, soldati che bestemmiavano nelle sofferenze che li portavano spesso alla morte affondando nella neve stessa, nei loro passi stentati ed erano bersaglio dei colpi delle armi dei russi.

Anche se ci furono rarissimi casi di miracolati come quello del soldato italiano che cambiò identità e divenne cittadino russo, il bilancio per l’esercito italiano fu terribile e anche ai giorni nostri si è verificato che reliquie dei soldati italiani siano state restituite a genitori e parenti affranti e i soldati caduti in Russia potrebbero essere considerati persone dallo sfortunatissimo destino terreno.

Viene in mente l’ibernazione dell’uomo dalla quale nessuno si è risvegliato, quindi nel titolo vediamo un simbolo di morte, il senso di qualcosa di inerte, l’icona di colui che vittima del male e/o della follia, muore sul campo di battaglia e ciò vale anche per i soldati russi e per tutti i soldati di ogni nazionalità in ogni tempo.

Una terra desolata pare divenire il luogo dell’immane tragedia inconcepibile per chi è nato ed è presente nel nostro liquido e alienante postmoderno occidentale nel quale le persone vivono esistenze che nella loro essenza sono lontane anni luce dal baratro e dal dolore dei soldati italiani caduti in Russia e dal loro tragico destino.

Scrive Crisci, nel frammento Un giorno alla memoria, che dopo troppi anni di oblio sarebbe doveroso dedicare un giorno alla memoria di questi innocenti e giovani martiri.

Il tempo non ha cancellato l’ardimento e il sacrificio di giovani vite immolatesi per cause a loro non completamente note ma dettate dal senso del dovere e da ideali patriottici e si potrebbe aggiungere che tali ideali furono più sentiti dai soldati italiani nel primo conflitto mondiale che nel secondo, anche se non crediamo all’assunto di Hegel che affermava che le guerre sono necessarie.

Raffaele Piazza

Antonio Crisci, L’uomo di ghiaccio, introduzione di Michele Miano, II° edizione, Guido Miano Editore, Milano 2022, pp. 136, isbn 978-88-31497-91-6, mianoposta@gmail.com.

Comunicato Stampa da:

GUIDO MIANO EDITORE

Via Emanuele Filiberto 12 – 20149 MILANO

02.3451804   02.3451806

mianoposta@gmail.com


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