GRAZIA MARZULLI: Nella carezza del vento, sbocciano fiori. Recensione di Marcella Mellea
Il volume Nella carezza del vento, sbocciano fiori, di Grazia Marzulli – edizioni Guido Miano Editore, Milano 2023 –, attira immediatamente l’attenzione del lettore per la bella e significativa copertina: un dipinto di Fabio Recchia intitolato “Abbraccio”, che simboleggia il mondo abbracciato da un paio d’ali dorate; tante macchie di colore intorno, figure indefinite, forse anime oranti che circondano il mondo e disegnano l’immagine di un’altra figura. Un dipinto di grande valore evocativo, oltre che artistico, che ci proietta immediatamente nella simbologia del titolo: Nella carezza del vento, sbocciano fiori, fiori di diversi colori, sfaccettature diverse di un’unica realtà. In effetti, l’opera di Grazia Marzulli è un’antologia dei versi migliori dell’autrice: poesie tratte da varie raccolte – Il volo di Penelope (1998), Salsedine (1999), Selva di dissonanze (2000), La luce verticale (2001), Anfratti fioriti, conchiglie (2003), Il velo di Maya (2004) – e componimenti inediti raccolti nelle due sezioni Anemoni e Fiori della Resilienza.
Il termine antologia in greco significa “raccolta di fiori”, fiori offerti al lettore, che si schiudono alla bellezza della vita e, nel nostro caso, si aprono e si disperdono nel vento: vento distruttore e creatore allo stesso tempo. La raccolta esplora tematiche varie e l’autrice, attraverso un verso strutturato, ci trasporta da una dimensione terrena, fatta di cose materiali, verso una dimensione eterea, spirituale. Il mondo circostante, in particolare quello della natura, diviene fonte primaria d’ispirazione; l’autrice, attraverso la sua sensibilità, ci regala note di colore, di armonia e di misticismo. Una poesia colta, elegante, intellettuale, ben costruita, ricca d’immagini, frammentate a volte, con riferimenti classici e mitologici. La sua concezione poetica è delineata in Salsedine (la poesia): «Creatura evanescente / che in volo t’impregni d’azzurro, / ti tuffi / ed ebbra d’onde / parli alla sabbia agli scogli / e nel flusso del salso respiro / scopri l’Uomo, / se al sole rapisci faville / e all’alba porgi / vezzi di rugiada, / ti prego, / intenerisci gli sguardi, / sotterra le croci, / diffondi la luce» (dalla omonima raccolta Salsedine, 1999). La Poesia è paragonata qui a un’entità evanescente, come la salsedine, che non ha corpo, è in grado d’impregnarsi di tutto quello che la circonda, di tutto quello che il poeta sperimenta; la poesia è perciò scoperta, diffusione di luce, abilità nel nascondere le cose brutte e negative dell’esistenza, di coprire le croci, di intenerire i cuori.
Con La mia favola – il componimento che apre la raccolta –, «Ritrovo la mia favola / scalfita franta dal tempo // annodo i capi / raggomitolo il filo / e la favola continua / mentre l’attimo si ferma // una foglia di giunchiglia / sull’acqua reclina / risplende al sole // e il
mio sguardo / mentre mi sfiori s’illumina / umido tra le ciglia», l’autrice tira le somme della sua vita: un’esistenza che, anche se “franta”, è paragonata a una favola, a una foglia di giunchiglia che si piega sull’acqua e risplende al sole. L’autrice prova nostalgia e si commuove davanti al ricordo della sua vita, nello scorrere dell’esistenza si mescolano e si fondono insieme note tristi e felici. Nostalgia e ricordo sono presenti anche in altre poesie, come: Il tempo delle more, Ciliegie, Schegge di guerra (da Il volo di Penelope, 1998); Il gelso (da Salsedine, 1999); Lungo i binari del tempo (da La luce verticale, 2001). L’autrice, nel rievocare il tempo che fu, le cose semplici della vita contadina, la natura soppiantata dal progresso e dalla modernità, riesce abilmente a mantenere il giusto distacco ed equilibrio emotivo, senza lasciarsi andare al sentimentalismo. A volte, nel descrivere paesaggi naturali, come in Ortica e giunchiglia, sembra identificarsi nella natura, a una ninfa dell’acqua, parte di un tutto: «…ed io Naiade scalza / tra fiori di lavanda / e zufoli d’avena / danzando nutro Amore / di fragranze //… un crepitio di fiamma / respiro di notte serena / mi solleva al coro delle stelle… // Un tonfo. // Il sogno scivola / dal bordo della favola / tra ciottoli rimbalza / si sbobina / e mi sorprende ferma sulla zolla / manto d’ortica e cuore di giunchiglia. // Consuetudine / nemica dell’attesa / penombra alitante su raggio / d’abbrunita cera» (da La luce verticale, 2001).
Grazia Marzulli è molto attenta anche alla disposizione del verso, il layout di alcune poesie ci comunica immediatamente il suo significato, come nella poesia Orme d’infinito (da Salsedine, 1999), la cui disposizione disegna una freccia scagliata verso l’infinito. L’autrice conosce bene l’arte del versificare e attraverso un uso sempre consapevole delle parole, dei toni, delle immagini, delle metafore, delle similitudini e delle parentesi esplicative, esprime il suo personalissimo stile. Come T. S. Eliot, fa ampio uso di correlativi oggettivi, evocando emozioni attraverso oggetti, situazioni, eventi; nella lunga poesia Al Luna Park (fiera delle vanità) (da Selva di dissonanze, 2000), echeggia lo stile Eliottano di “The Waste Land”, in cui una coralità di immagini e personaggi ci fanno riflettere sulla crisi della civiltà e della cultura contemporanea, il luna Park diviene un microcosmo in cui alcune scene ci fanno riflettere sulla precarietà, l’alienazione delle relazioni, la frammentarietà e l’assurdità dell’esistenza. I personaggi compiono gesti sterili, quasi a volere rappresentare il vuoto e l’indifferenza che attanaglia l’anima; questa lunga poesia, di non facile lettura, divisa in otto sezioni, è ricca di simbolismo.
All’interno di tutta la raccolta poetica, nell’alternarsi di emozioni e visioni contrastanti, non sempre facili da interpretare, l’autrice volge al Signore la preghiera di aprire un varco, un’apertura – solo Lui può farlo – per placare l’angoscia e il dolore del vivere; Un varco: «Nella stretta d’angoscia, Signore, / la preghiera si svuota / e i destini traditi / come gorgoni acefale si piegano / se non posi la Tua mano / fra le mobili sabbie. //…// Apri un varco, Signore, / verso il luogo d’Assoluto / dove accade che l’alba e il tramonto / il tu e l’io / la parola e la vita / si fondono per noi in armonia» (da La luce verticale, 2001); la vita ha bisogno di punti di riferimento sicuri per non vacillare, per non perdersi durante il tragitto della vita. In Schegge di luce: «È vero, Mariapia, noi siamo schegge / ma di
stupore / esploso in un lontano / traboccare di petali / da calice infinito / schegge del suo splendore / e poi / quali relitti di un naufragio antico / fragilità protese all’Assoluto / polvere vaga / fra alveari di scogli / a nutrire embrioni di luce» (da Il velo di Maya, 2004), l’autrice, pur consapevole della fragilità dell’uomo, ne riconosce la sua la divinità, affermando che noi esseri umani siamo schegge di luce esplosa nel mondo, riflesso del Divino, bellezza, naufraghi protesi verso l’assoluto.
Nelle liriche Canto la barca «…Canto la barca a vela che vacilla / nel labile solco / conteso da opposte correnti / eppure osa, / osa sfidare i venti / all’alba imperlata di rugiada / da occhi di fuoco al tramonto…» (da Il velo di Maya, 2004); e Taglio sartoriale «… Se al sovrapporsi incauto delle dita / la geometria del taglio si sfilaccia / o si deforma / il capo – pur gualcito – / caparbio si rimetta sul telaio // per non smarrire il senso di una vita» (da Il velo di Maya, 2004), emerge un elemento didattico, l’autrice invita ad avere forza d’animo, tenacia per non soccombere, per non farsi scoraggiare dagli ostacoli che inevitabilmente si frappongono nel cammino della vita.
In alcune poesie l’autrice riconosce il grande valore della comunicazione, del linguaggio verbale e non verbale, per interpretare il mondo e consegnarlo ai suoi lettori: Codice obsoleto «Le parole meditate non gracidano / non saltellano / come ranocchie / né si arrampicano / su fantasmi e specchi deformanti. // Scavate / e tratte con dolore / da meandri / si adagiano gravi / tra le pupille / e il cuore / lasciano impronte profonde / emanano fresco odore. // Se rinnegate / si rifugiano schive in una teca / reliquie / d’un codice obsoleto» (da Selva di dissonanze, 2000). Aria «Ho rapito le ali a un gabbiano / – i polmoni colmi di illusioni / – per sollevare il peso degli istinti // E comprendere il linguaggio delle rondini / (vertigini di crome e biscrome / su pentagrammi di alta tensione). // Prodiga di vezzi ai cocoriti, smarrita / nel frinire di cicale, tentavo invano / di emulare versi di usignolo. // Ora contemplo il saio francescano / tesa verso estasi di luce / nidi d’aquile reali. // E vibro di stupore nel silenzio / ascoltando il respiro / infinito d’Aria impalpabile». (da Anfratti fioriti, conchiglie, 2003).
Nelle liriche di Grazia Marzulli, infine, si coglie una profonda ricerca esistenziale e la continua esplorazione della realtà, una ricerca che passa sempre attraverso la parola, il silenzio e la poesia, equilibrio perfetto tra mente e cuore.
Marcella Mellea
Grazia Marzulli, Nella carezza del vento, sbocciano fiori, prefazione di Michele Miano, Guido Miano Editore, Milano 2023, pp. 96, isbn 978-88-31497-98-5, mianoposta@gmail.com.