Segnalazioni

Pietro Rosetta, Poesie nascoste nella dispensa, Guido Miano Editore, 2024

Comunicato Stampa

Recensione di Floriano Romboli

Il fascino seducente e doloroso della vita nella lirica di Pietro Rosetta

Non è nuova l’idea della vita come viaggio, che, nella raccolta di versi di Pietro Rosetta Poesie nascoste nella dispensa, pubblicata dalla Casa Editrice Miano nel 2024, appare un itinerario accidentato eppur appassionante, fatto di tappe assai diverse, tormentoso e stimolante, portatore ad un tempo di quiete e di insoddisfazione: “Si compie inarrestabile il viaggio,/ sfiorare la quiete di un approdo e poi/ seguitare la rotta/ questo mi hai domandato” (corsivo mio, come sempre in seguito); “Mi rassegno al viaggio/ ti sveglierò solo per chiederti una carezza,/ dissetarmi e ripartire”; “Finalmente escono le parole/ a lungo rinchiuse da una assenza./ È tardi, nuovi sguardi/ mi attendono,/ devo ripartire”.

Tale immagine emblematica e pervadente è all’origine di una serie di suggestive metafore, che assicurano densità sentimentale e coerenza ideale al discorso poetico: “Essere marinai di tutte le tempeste/ nudi a volte agli occhi/ di una madre che aspetta./ Ci è costata l’esperienza”; “Dal ponte della mia nave,/ senza nostalgia,/ guardo allontanarsi i fantasmi/ che il cuore ha finalmente liberato,/ al tramonto di un incubo/ assetato di un senso/ la rotta è cambiata/ e il vento tiepido dell’estate/ gonfia di nuovi progetti/le vele dell’entusiasmo”; “Sento il rumore dei miei passi/ irrequieto presagio di un’alba ancora possibile”; “Divinità corsare,/ impadronite dell’inverno/ scorgeranno impronte/ di umanità scolpite nella sabbia,/ indovinando appunti dimenticati/ nella fretta del passaggio”.

Il percorso vitale di ognuno risulta animato da un moto duplice e contraddittorio, da una sollecitazione attiva ed energetica a cui corrispondono – in intima correlazione dialettica – un ripiegamento amaro, la mesta constatazione di un esito deludente delle attese emotive, dell’aspettativa di felicità e di amore.

Non sorprende al proposito che la figura dell’antitesi si riveli centrale nella sua valenza unificante e formalmente ordinativa, organizzando incisivamente i tanti aspetti contrastivi, che innervano la vicenda esistenziale, dall’opposizione “gioia/dolore” (“Il tempo è maturo/ e noi come cipressi saremo là/ ritti ad aspettare gioie e dolori/ con le radici abbracciate alla vita”), “buio/luce” (“Le sere d’estate l’aria umida d’insonnia/spalanca le porte della notte (…) sarà l’aurora a sbiadirne il ricordo”), “sogno/realtà” (“In riva al mare dei sogni/ il nostro amore si è fermato a morire,/ il viso riverso nella sabbia, si è fermato a morire”), al conflitto di “vita e morte” (“Varcata la soglia/ cercherò nelle tue labbra/ il presentimento della morte/ o il fiore nuovo della vita), nonché a quello – di ascendenza leopardiana e posto in risalto con la consueta lucidità dal prefatore Enzo Concardi – di “amore e morte”: “Rifugiato nel tuo corpo/ cercando protezione./ Come un fiume in piena/ allagarti, tra brandelli di vita/ per annebbiare la certezza di morire solo”.

In alcune liriche l’autore esprime la convinzione che il fremito vitalistico non soltanto preceda, ma vada oltre la riflessione intellettuale, a causa di una ricchezza e di una profondità razionalmente male inquadrabili e pertanto non agevolmente definibili: “Eppure vorrei incontrarti per caso/ e abbandonarmi nel torrente/ delle frasi mai pronunciate/ e possederti/ senza la colpa di averlo deciso/ e invece distillo brividi/ sopravvissuti alla noia/ di lucidare lo specchio dei nostri errori”; “Devo ancora arrivare o è già passato/il tuo tempo?/ Il mio tempo non lo sa e/ abbracciato ai tuoi occhi/ si ostina a non volerlo sapere”.

Ciò dà ragione delle frequenti ed efficaci similitudini naturistiche (“Il tempo è sbocciato/ figlio di gesti ritrosi,/ sogno che non si vuole realizzare/ e noi due aggrappati al destino/ come larici sbattuti dal vento di primavera/ sentirci dentro un frutto acerbo/ nostro intimo desiderio venuto/ a sfidare il presente”; “Ti parlerò ancora/ per pochi giorni,/ poi, come le onde che impetuose/ si impennano al vento e muoiono,/ anch’io mi confonderò col mare”) e soprattutto, anche dinanzi all’esperienza di un dolore intenso (“Questa notte piangerò per te lacrime disperate/ ma tu non mi sentirai/ e il tempo appassisce il fiore che/ abbiamo abbandonato all’ombra del silenzio”), del desiderio, sempre risorgente, di aprirsi positivamente all’avventura della vita, di attingere alle illimitate risorse di essa: “Non è rimorso ma preghiera/ questa luce diafana filtrata da veli (…) cerca proprio noi, inquilini di una storia/ affacciati ad aspettare il sole”; “Non so quali umori ci scuote il vento/ e fino a quando il tuo sorriso dalle/ labbra sottili dirà al mio/ di giocare con lui./ Non so dove andiamo, amore,/ ma ti prego resta qui vicino”.

La sottolineatura dell’ultima citazione non è nel testo ed è in funzione del rilievo di un’altra figura retorica, l’anafora, spesso impiegata dallo scrittore e sintomatica del suo animus indagatore, della propensione all’approfondimento critico personale delle varie situazioni etico-spirituali. Ne è testimonianza perspicua il bellissimo componimento incipitario che ha per titolo I canti delle vedove: “I canti delle vedove/ nelle vecchie chiese di periferia/ sono le voci delle nonne e delle vecchie zie (…) I canti delle vedove sono il lamento indifeso/ di chi si ostina a non capire (…) I canti delle vedove… sono disperazione (…) I canti delle vedove sono la speranza cieca/che ognuno di noi porta dentro”; la consueta antitesi (in questo caso “disperazione/speranza”) attesta l’importanza di un comportamento moralmente esemplare: “Così nella mia stanza/sono i canti delle vedove la mia preghiera”.

Floriano Romboli

P. Rosetta, Poesie nascoste nella dispensa, Milano, Guido Miano Editore, 2024, pp.88

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